venerdì 27 luglio 2012


VERSO 14
Benché sia ormai a carico di coloro che prima mante­neva, l'uomo insensato non prova mai avversione per la vita di famiglia. Deformato dalla vecchiaia, egli si prepara a incontrare la morte.
SPIEGAZIONE
L'attaccamento alla famiglia è così potente che, pur tra­scurato dai suoi familiari nel corso della vecchiaia, l'uomo sposato non può troncare questo legame e resta in casa come un vecchio cane. La tradizione vedica vuole che si lasci la vita di famiglia quando si è ancora sufficientemente in forze; prima di diventare troppo deboli e di fallire nelle proprie imprese materiali, prima di soccombere alla malat­tia, si raccomanda di rinunciare alla vita di famiglia e di immergersi pienamente nel servizio di devozione fino alla fine dei propri giorni. Perciò, nelle Scritture vediche si in­giunge di lasciare la casa per vivere soli nella foresta, dopo i cinquant'anni. Dopo essersi ben preparati si deve accetta­re il sannyasa per diffondere in ogni casa la conoscenza della vita spirituale.
VERSO 15
Resta in casa come un cane domestico e si nutre di ciò che gli viene dato con negligenza. Colpito da molti disturbi, come la dispepsia e la mancanza di appetito, ingerisce solo piccoli bocconi di cibo e diventa completamente invalido, ormai incapace di lavorare.
SPIEGAZIONE
Prima di incontrare la morte ognuno ha la sicurezza di diventare invalido, prostrato dalla malattia; quando l'uomo è trascurato in questo modo dai suoi familiari vive peggio di un cane, perché deve sottostare a tante miserabili condizio­ni. Per questo motivo, le Scritture vediche affermano che, prima di giungere a questo punto, è preferibile lasciare la casa e morire lontano dai familiari, senza che essi ne siano informati. Se un uomo lascia la casa, e muore all'insaputa dei parenti, la sua morte è considerata gloriosa. Ma l'uomo attaccato alla famiglia desidera che i parenti lo portino in pro­cessione dopo la sua morte; benché egli non possa assistere alla sua processione desidera ugualmente che il suo corpo sia portato in gran pompa. Si crede felice, senza neanche sapere dove andrà dopo aver lasciato il suo corpo per una vita futura.
VERSO 16
Raggiunto così dalla malattia, egli ha gli occhi fuori dalle orbite per la pressione dell'aria proveniente dall'interno del corpo, e le sue ghiandole si riempiono di muco. Respira a fatica, e ad ogni respiro, un rantolo esce dalla sua gola: "Ghura-ghura”.
VERSO 17

Cade così sotto gli artigli della morte e giace, attorniato dai parenti e dagli amici in lacrime; benché egli desideri parlare con loro, ne è incapace perché il tempo si è impa­dronito di lui.
SPIEGAZIONE
Per formalità, quando un uomo è disteso sul letto di morte, i suoi parenti gli vanno vicino e talvolta si mettono a piangere forte dicendogli: "Oh padre mio!", "oh amico mio!", "oh marito mio!". In questa situazione pietosa, in punto di mor­te, vorrebbe parlare con loro per esprimere i suoi ultimi desideri; ma poiché è completamente controllato dal tempo e dalla morte, non riesce più a parlare, e ciò è motivo per lui di inconcepibile dolore. Soffre già terribilmente a causa della malattia, le sue ghiandole e la sua gola sono ostruite dal muco; si trova in grande difficoltà e quando i suoi parenti si avvicinano a lui per parlargli, il suo dolore aumenta enorme­mente.
VERSO 18
Quest'uomo che si è impegnato a mantenere la famiglia senza alcun controllo dei sensi, muore nel più profondo dolore, vedendo i parenti piangere intorno a lui. Egli muore nel modo più patetico, stremato dalla sofferenza e privo di coscienza.
SPIEGAZIONE
La Bhagavad-gita insegna che all'istante della morte noi saremo immersi nei pensieri che abbiamo coltivato nel corso della nostra esistenza. Perciò la persona che non ha avuto altro pensiero che quello di assicurare un sufficiente benes­sere alla propria famiglia avrà la mente ingombra dal pensie­ro di questi interessi familiari. Per un uomo comune ciò corrisponde all'ordine naturale delle cose. L'uomo comune non conosce il suo destino, si preoccupa soltanto di mante­nere la sua famiglia durante tutta la vita che ha la durata di un lampo. All'ultimo momento nessuno è soddisfatto del modo in cui ha sviluppato la situazione economica della sua famiglia; ognuno crede di non aver fatto abbastanza. É a causa del profondo attaccamento alla famiglia, l'uomo di­mentica il suo primo dovere: controllare i sensi e sviluppare la propria coscienza spirituale. Un uomo sul punto di morte affida talvolta gli affari della famiglia a suo figlio, o a qualche altro parente dicendo. "Me ne vado, veglia sulla famiglia”. Non sa dove va, ma anche nel momento della morte conti­nua a preoccuparsi del modo in cui la sua famiglia sarà man­tenuta. Capita perfino che implori il medico di prolungargli la vita almeno di qualche anno affinché gli sia possibile por­tare a compimento i progetti ideati, in vista di assicurare il benessere ai suoi familiari. Tali sono i mali materiali di cui soffre l'anima condizionata. Essa dimentica completamente quella che dovrebbe essere la sua vera preoccupazione, di­ventare cosciente di Krsna, ma continua ad applicarsi con molta serietà per la pianificare l'avvenire della sua famiglia, anche se la famiglia cambia continuamente.
VERSO 19

Venuta la sua ultima ora, scorge gli inviati del signore della morte, che vengono verso di lui con gli occhi iniettati di collera. Invaso dal terrore, urina e defeca.
SPIEGAZIONE
L'anima può conoscere due forme di trasmigrazione dopo aver lasciato il corpo presente. Una forma di trasmigrazio­ne consiste nel recarsi presso colui che giudica i peccatori, cioè Yamaraja; l'altra consiste nel salire sui pianeti superio­ri, fino a Vaikuntha. Sri Kapila spiega qui che gli inviati di Yamaraja, gli Yamaduta, si prendono cura delle persone che, per mantenere la propria famiglia, si sono impegnate in attività miranti alla gratificazione dei sensi. All'istante della morte coloro che si sono ostinati ad assecondare i loro de­sideri materiali sono posti sotto la custodia degli Yamaduta. Questi s'impadroniscono dell'uomo che sta morendo e lo conducono sul pianeta dove risiede Yamaraja. Le condizio­ni a cui l'essere è sottoposto sono descritte nei versi che seguono.
VERSO 20

Come un criminale è arrestato dalla forza pubblica per subire la sua pena, così l'uomo che si è dedicato, in modo criminale, al piacere dei sensi è arrestato dagli Yamaduta, che lo legano per il collo con solide corde e coprono il suo corpo sottile per sottoporlo a un severo castigo.
SPIEGAZIONE
Ogni essere vivente è coperto da un corpo sottile e da un corpo grossolano. Il corpo sottile si compone di mente, di intelligenza, di falso ego e di coscienza. Le Scritture riferi­scono che gli agenti di Yamaraja coprono il corpo sottile del criminale e lo conducono davanti a Yamaraja perché gli sia inflitto un castigo che egli possa sopportare. Il colpevole non deve morire per questa punizione, perché se morisse, chi soffrirebbe per i suoi errori? Non è competenza degli agenti di Yamaraja uccidere qualcuno. In realtà, non è possibile uccidere l'anima, che è di natura eterna. L'essere individua­le deve solo subire le conseguenze degli errori commessi nel desiderio di gratificare i sensi.
L'applicazione del castigo è descritta nella Caitanya - Caritamrta. Un tempo, quando gli uomini del re s'imposses­savano di un criminale, lo conducevano in barca in mezzo al fiume. Là lo tuffavano nell'acqua, e afferrandolo per i capelli lo immergevano completamente; infine, quando era sul punto di affogare lo facevano uscire dall'acqua, e gli permet­tevano di respirare per un po' di tempo; dopodiché lo im­mergevano di nuovo con la testa sotto l'acqua. Come vedre­mo nei versi seguenti, gli agenti di Yamaraja si comportano così con le anime dimentiche.
VERSO 21

Mentre gli agenti di Yamaraja lo conducono via, egli tre­ma tra le loro mani, sopraffatto dalla paura. Lungo il cammi­no i cani lo mordono, ed egli ricorda gli errori della sua vita. Sente allora un terribile sconforto.
SPIEGAZIONE
Sembra da questo verso, che passando dal nostro pianeta a quello di Yamaraja, il criminale, arrestato dagli agenti di Yamaraja, sia aggredito da numerosi cani che abbaiano e lo mordono al solo fine di ricordargli le attività colpevoli da lui commesse per il piacere dei sensi. La Bhagavad-gita insegna a questo proposito che l'essere diventa praticamente cieco, e privo della capacità di ragionare, quando è assalito dal desiderio bruciante di godere dei sensi. Allora egli dimenti­ca tutto, kàmais tais tair hrta-jnanah: eccessivamente attrat­to dai piaceri materiali l'essere perde tutta la sua intelligen­za, e dimentica che dovrà subire le conseguenze delle sue azioni. Noi vediamo qui che i cani al servizio di Yamaraja permettono all'essere caduto di ricordare le sue attività col­pevoli. In realtà, quando noi viviamo nel corpo grossolano, siamo incoraggiati a sperimentare il piacere materiale, e ciò anche a causa dei governi che in ogni stato del mondo favo­riscono il controllo delle nascite. Alle donne si procura la pillola e si permette loro anche di usufruire di cliniche spe­cializzate per abortire. Tutto ciò è il risultato della corsa alla gratificazione dei sensi. L'atto sessuale, invece, è destinato a generare buoni figli, ma poiché gli uomini non hanno alcun controllo dei sensi, e non esiste alcuna istituzione che insegni questo controllo di sé, essi sono indotti a commettere attività criminali al solo fine di soddisfare i propri sensi; per questa ragione devono essere puniti dopo la morte, come spiegano queste pagine dello Srimad-Bhagavatam.

VERSO 22

Sotto un sole ardente, il criminale deve percorrere sen­tieri di sabbia bruciante attraversando foreste infuocate. I suoi carnefici lo frustano sulla schiena, quando egli non può più camminare; la fame e la sete lo prostrano, ma per sfor­tuna questa strada non offre né acqua, né riparo o luogo di riposo.
VERSO 23
Lungo questa strada che lo conduce alla dimora di Yama­raja egli cade spesso per la fatica e talvolta sprofonda nell'incoscienza ma viene forzato a rialzarsi. Così si trova ben pre­sto alla presenza di Yamaraja.
VERSO 24
Egli deve superare così novantanovemila (99.000) yojana in due o tre istanti dopodichè è subito sottoposto alle torture che merita.
SPIEGAZIONE
Uno yojana equivale a dodici o tredici chilometri. La stra­da che l’anima punita deve percorrere si estende dunque su una distanza di più di un milione di chilometri. Questo lungo viaggio si compie in pochi istanti. Gli agenti di Yamaraja coprono il corpo sottile della vittima con un involucro parti­colare in modo che l'essere possa superare questa considere­vole distanza in poco tempo e abbia la capacità di sopportare le sofferenze che gli sono inflitte. L'involucro di cui si parla, benché materiale, si compone di elementi così sottili che gli scienziati materialisti non potrebbero determinarne la natu­ra. Mentre i cosmonauti moderni sono oggi riusciti a viaggiare a una velocità di circa trentamila chilometri all'ora, dob­biamo notare che l'essere diretto alla corte di Yamaraja può superare una distanza di più di un milione di chilometri in pochi secondi soltanto; notiamo inoltre che questo viaggio si compie secondo un processo materiale, non spirituale.
VERSO 25

Egli è posto in mezzo a ceppi di legna infuocati e le sue membra sono date alle fiamme. In certi casi è forzato a man­giare la propria carne, oppure viene fatta divorare da altri.

SPIEGAZIONE

Questo verso e i tre versi successivi descrivono castighi diversi. La prima descrizione ci mostra il criminale mentre sta mangiando la propria carne, torturato dal fuoco o divo­rato da altri esseri che si trovano nella sua stessa condizione. Durante l'ultima guerra mondiale, i prigionieri dei campi di concentramento talvolta mangiavano i loro propri escremen­ti; non ci si deve dunque stupire se nel regno di Yamaraja, lo Yamasadana, coloro che hanno goduto dell'esistenza mangiando la carne di altri esseri, siano forzati a mangiare la loro stessa carne.
VERSO 26

I suoi intestini sono strappati dai cani e dagli avvoltoi infernali mentre egli vive ancora per assistere alla scena, e serpenti, scorpioni, zanzare, e altre creature, lo pungono e lo tormentano.
VERSO 27

Poi le sue membra sono strappate dal corpo e dilaniate dagli elefanti. Egli viene scagliato giù dalla cima delle mon­tagne e imprigionato sotto l'acqua o in una caverna.
VERSO 28

Gli uomini e le donne che hanno basato la loro esistenza sull'appagamento dei desideri sessuali illeciti sono posti in ogni sorta di condizioni miserabili negli inferni detti Tamisra, Andha-tàmisra e Raurava.
SPIEGAZIONE
L'esistenza materiale si basa sulla vita sessuale. Tutti i materialisti, infatti, costretti a dure tribolazioni nel corso della loro lotta per l'esistenza, fondano la loro vita sul piacere sessuale. La civiltà vedica, invece, ammette le attività sessuali in modo limitato. Esse sono destinate alle coppie sposate e solo nell'ambito della procreazione. Coloro che, al solo scopo di soddisfare i sensi, ricorrono all'unione sessuale in modo illegale e illecito, devono aspettarsi, uomini e donne, di subire un severo castigo nel corso della stessa vita o dopo la morte. In questa vita essi possono essere colpiti da malattie infettive come la sifilide o la gonorrea, e dopo la morte, come vediamo da questo passo dello Srimad­ Bhagavatam, devono subire differenti forme di sofferenze infernali. Anche il primo capitolo della Bhagavad-gita con­danna con forza la vita sessuale illecita, e aggiunge che colo­ro che generano bambini con un'unione illecita dovranno andare all'inferno. Ciò è confermato qui dallo Srimad­ - Bhagavatam, dove è affermato che tali offensori sono inviati all'inferno Tàmisra, Andha-tàmisra e Raurava.
VERSO 29

Sri Kapila continuò:
Mia cara madre, si dice talvolta che l'uomo conosce il cielo o l'inferno su questo stesso pianeta, perché anche qui sono visibili castighi infernali.
SPIEGAZIONE
Talvolta i non-credenti rifiutano gli insegnamenti delle Scritture che riguardano l'inferno, e respingono le loro de­scrizioni autentiche. Sri Kapila conferma dunque la loro esat­tezza, affermando che queste condizioni infernali sono visi­bili anche sulla Terra; esse, infatti non esistono soltanto sul pianeta di Yamaraja. Là il peccatore ottiene la possibilità di esercitarsi a vivere nelle condizioni infernali alle quali sarà sottoposto nella sua vita futura, dopodichè egli rinascerà su un altro pianeta per continuare là la sua esistenza infernale. Se per esempio, un uomo è condannato a vivere all'inferno e a cibarsi di escrementi e di urina, egli dovrà prima eserci­tarsi sul pianeta di Yamaraja per ottenere poi una forma di corpo particolare, in questo caso quello di un maiale, che gli permetterà di mangiare escrementi e pensare di godere così dell'esistenza. Come è già stato menzionato, in tutte le con­dizioni, anche nelle più abominevoli, l'anima caduta si crede felice. Altrimenti le sarebbe impossibile sopportare condi­zioni di vita così infernali.
VERSO 30

Dopo aver lasciato il corpo, l'uomo che ha provveduto alle sue necessità e a quelle della sua famiglia con attività colpe­voli deve sopportare una vita infernale, e con lui i suoi parenti.

SPIEGAZIONE

L'errore della civiltà moderna consiste nel fatto che l'uo­mo non crede all'esistenza di una vita futura. Ma che vi creda o no, questa vita esiste, e se egli non conduce un'esistenza responsabile, seguendo le istruzioni di Scritture autorizzate, come i Veda e i Purana, dovrà soffrire. Nelle specie inferiori l'essere non è responsabile delle sue azioni perché è costret­to ad agire in un certo modo; ma allo stadio evoluto della coscienza umana, se l'essere non si assume la responsabilità dei suoi atti, conoscerà sicuramente un'esistenza infernale, come quella descritta in queste pagine.
VERSO 31

Solo, egli raggiunge le regioni tenebrose dell'inferno dopo aver lasciato il suo corpo presente, e il denaro, che si è pro­curato invidiando altri esseri, è il prezzo che paga per lasciare questo mondo.
SPIEGAZIONE
Quando un uomo guadagna del denaro con mezzi disone­sti e lo usa per provvedere alle sue necessità e a quelle dei suoi parenti, numerosi componenti della sua famiglia ne approfitteranno, ma lui solo andrà all'inferno. Una persona che gode dell'esistenza guadagnando in questo modo del denaro, op­pure invidiando la condizione altrui, e prova piacere nel vive­re con la famiglia e gli amici, dovrà raccogliere da sola il frutto delle colpe accumulate nel corso della sua esistenza di violenza e di iniquità. Se, per esempio, un uomo ottiene del denaro uccidendo qualcuno e lo utilizza per mantenere la sua famiglia, coloro che beneficiano di questi oscuri guadagni devono assumersi una certa parte di responsabilità, e per questo an­dare all'inferno; ma il capo della famiglia sarà castigato in modo particolare. Il risultato del godimento materiale è che la persona porta con sé la conseguenza del peccato, ma non il denaro. Il denaro che si è potuto guadagnare resta in questo mondo, e ciò che si porta con sé è la conseguenza del peccato. Anche in questo mondo, se una persona commette un assassinio per denaro, i suoi familiari non saranno impiccati, sebbene la colpa si ripercuota anche su di loro. Invece l'uomo che si è reso colpevole di assassinio, e ha mantenuto la sua famiglia col denaro così guadagnato, sarà impiccato per il suo delitto. Naturalmente, chi ha commesso direttamente il cri­mine sarà più responsabile della colpa commessa di chi ne ha potuto beneficiare in modo indiretto. Per questa ragione Canakya Pandita; il grande erudito, sosteneva che è meglio spendere ciò che si possiede per la causa del sat, ossia di Dio, la Persona Suprema, perché non è possibile portare i propri beni con sé all'altro mondo. Essi restano qui e sono irrime­diabilmente perduti per noi. O noi ci separiamo dal denaro o è il denaro che si separa da noi, ma in un modo come nell'altro noi non potremo conservarlo. Quindi, il miglior uso che noi possiamo farne, finché esso è in nostro possesso, sarà quello di spenderlo allo scopo di favorire la coscienza di Krsna.
VERSO 32
Così, seguendo il disegno del Signore Supremo, colui che si è limitato à mantenere i suoi parenti si vede immerso in una condizione infernale, e dovrà soffrire a causa delle sue attività colpevoli come un uomo che ha perduto la sua for­tuna.
SPIEGAZIONE
Questo verso paragona la sofferenza del peccatore a quel­la di un uomo che ha perduto la sua fortuna. La forma umana è ottenuta dall'anima condizionata soltanto dopo numerosissime esistenze, e ciò costituisce un dono prezioso: Se inve­ce di usarla per ottenere la liberazione, l'uomo la usa per mantenere la sua cosiddetta famiglia, e a questo scopo si dedica ad attività insensate e contrarie a ogni metodo auto­rizzato, può essere paragonato a un uomo che ha perduto la sua fortuna e si lamenta. Una volta che il denaro è perduto, lamentarsi non serve a niente, ma finché è ancora in nostro possesso dev'essere usato in modo appropriato per ricavarne un beneficio eterno. Si potrebbe pensare che quando un uomo lascia qui il denaro, che ha guadagnato commettendo varie colpe, si scarichi anche delle sue attività colpevoli. Ma il nostro verso indica in modo preciso che secondo le dispo­sizioni prese a un livello superiore (daivenasaditam), l'uomo porta con sé gli effetti delle sue colpe, benché lasci dietro di sé il denaro guadagnato in modo disonesto. Se, per esempio, un uomo ruba del denaro, anche se è arrestato ed accetta di restituire il denaro preso, non sfuggirà ugualmente al castigo che merita.
Secondo la legge dello Stato, anche se restituisce il dena­ro, dev'essere punito. Similmente, anche se l'uomo, moren­do, abbandona il denaro che si è procurato con metodi diso­nesti, porta tuttavia con sé l'effetto delle sue colpe secondo una giustizia superiore, e deve quindi conoscere un'esisten­za infernale.
VERSO 33

Perciò, chiunque aspiri intensamente a mantenere la propria famiglia e i propri parenti fino al punto di ricorrere esclusivamente a mezzi illeciti, andrà senza alcun dubbio nella regione più tenebrosa dell'inferno, che è chiamata Andha-tàmisra.
SPIEGAZIONE
Tre parole in questo verso sono molto significative. Kevalena ossia "con mezzi oscuri", adharmena ossia "em­pio", "irreligioso" e kutumba-bharana ossia "il mantenimen­to di una famiglia". È certo dovere di un uomo sposato prov­vedere ai bisogni della sua famiglia, ma egli deve guadagnar­si da vivere con i mezzi indicati nelle Scritture: La Bhagavad­ gita spiega che Dio ha diviso la società in quattro gruppi, o varna, secondo la natura e le attività di ciascuno. Anche senza tenere conto della Bhagavad-gita, possiamo vedere che in ogni società l'uomo è preso in considerazione sulla base della sua natura e della sua attività. Chi fabbrica mobili è chiamato falegname e chi lavora con un martello e un'in­cudine è chiamato fabbro. Similmente, il medico e l'ingegne­re hanno ciascuno la loro denominazione e il loro proprio dovere. Tutte le attività dell'uomo sono state divise dal Si­gnore Supremo secondo quattro varna, costituiti dai brahmana, dagli ksatriya, dai vaisya e dai sudra. La Bhagavad­ - gita e altri Scritti vedici definiscono i doveri specifici di cia­scuno di questi gruppi sociali.
Si tratta dunque di vivere onestamente secondo la pro­pria natura. L'uomo non deve guadagnarsi da vivere con mezzi ambigui o con attività per le quali non è qualificato. Se un brahmana adempie le funzioni di sacerdote per illu­minare i fedeli sulla via della spiritualità, ma non possiede le qualità richieste per questa missione, non fa che ingan­nare gli altri. L'uomo non deve ricorrere a mezzi così diso­nesti, e lo stesso principio vale per gli ksatriya e per i vaisya. È raccomandato, in modo particolare a coloro che si sfor­zano di progredire nella coscienza di Krsna, di adottare mezzi di sussistenza molto semplici e perfettamente onesti. Questo verso stabilisce che chiunque si assicuri la sopravvivenza con mezzi disonesti (kevalena) sarà inviato nelle regioni più oscure dell'inferno. D'altra parte, invece, non vi è niente di male per un uomo sposato provvedere ai bisogni dei suoi familiari con mezzi onesti e secondo le vie prescritte.
VERSO 34

Dopo aver sperimentato tutte le condizioni di sofferenza infernali e dopo aver conosciuto, secondo l'ordine naturale, le forme più basse di vita animale, l'essere che si è così pur­gato dalle sue colpe rinasce di nuovo in una forma umana su questa Terra.
SPIEGAZIONE
Come un detenuto è rilasciato dopo aver scontato la sua pena in prigione, l'uomo che ha saputo compiere solo attivi­tà empie e malvagie deve affrontare condizioni di vita infer­nali nel corso di differenti esistenze, a volte tra i gatti, a volte tra i cani, i maiali, o in altre specie di animali inferiori, dopodichè ritrova la sua forma umana secondo il processo graduale dell'evoluzione.. La Bhagavad-gita insegna che anche se una persona, praticando lo yoga, non raggiunge la perfezione e cade dalla sua posizione per qualche ragione, ha la garanzia di rinascere almeno tra gli uomini. È detto inoltre che una persona, pur essendosi allontanata dalla via dello yoga, ottiene di rinascere in una famiglia molto agiata o virtuosa. Per "famiglia agiata" bisogna intendere una fa miglia di ricchi mercanti perché, in generale, coloro che si dedicano al commercio e agli affari diventano ricchi. Così, chi inizia la strada della realizzazione spirituale, che consiste nel ritrovare il legame che ci unisce alla Verità Suprema e Assoluta, ma non raggiunge il fine, ottiene di rinascere in una famiglia ricca o in una famiglia di brahmana virtuosi; in entrambi i casi ha la garanzia di rinascere all'interno della società umana nella sua vita futura. Possiamo quindi conclu­dere che chiunque non desideri sperimentare un'esistenza infernale nel regno di Tamisra e di Andha-tamisra, deve adottare la via della coscienza di Krsna, che è lo yoga più perfetto; infatti anche se non si giunge a completare la pro­pria coscienza di Krsna in questa vita, si ha la sicurezza di rinascere almeno tra gli uomini, mai si verrà posti in condi­zioni di vita infernali. La coscienza di Krsna è l'esperienza più pura, ed impedisce a tutti di scivolare verso l'inferno e di rinascere in una famiglia di cani o di maiali.

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